Il Monastero di Fonte Avellana

12/giu/2017
Andrea Pellegrini

L’anno di fondazione non è mai stato chiarito con precisione, quindi lo si colloca con buona approssimazione tra il 980 e il 1000, periodo molto fiorente in Italia per la creazione di nuovi eremi e monasteri.
Fonte Avellana nacque come eremo ma nel 1325 avvenne la trasformazione in cenobio, cioè in monastero.
La congregazione degli avellaniti lo gestì autonomamente fino al 1569, allorchè Papa Pio V, con Bolla Quantum animus noster, decise di annettere Fonte Avellana alla congregazione sorella di Camaldoli.

Nel 1866 con la soppressione degli ordini ecclesiastici avvenne la chiusura temporanea di tutti i monasteri italiani. I monaci di Santa Croce si trasferirono per alcuni anni a Pergola.
Gli stessi dubbi sull’anno di fondazione esistono inevitabilmente sul nome del fondatore di Fonte Avellana; forse Ludolfo, vescovo di Gubbio, forse ma San Romualdo che visse ed operò a Sitria, sul Monte Petrano e a San Vincenzo in Petra Pertusa al Furlo. Quest’ultima ipotesi è la più accreditata ed anche la più evocativa considerata la caratura del personaggio, certamente tra i più importanti del monachesimo. Potrebbe essere stato il primo grande monaco a Fonte Avellana, certamente non fu l’unico, perché dalle parti della sorgente del Cesano passarono uomini religiosi che contribuirono alla crescita culturale del popolo europeo negli ultimi mille anni. Primo tra tutti San Pierdamiani che scrisse La Regula vitae eremiticae nella quale si trovano diversi elementi in comune con la Costitutiones del Beato Rodolfo, IV Priore di Camaldoli, eremo fondato proprio da San Romualdo.

Pierdamiani nacque a Ravenna da una famiglia agiata e numerosa col nome di Damiano; ma una volta morto il padre, quando egli era molto giovane, la madre lo ripudiò costringendolo ad andarsene di casa. In principio una vicina lo aiutò e poi invece fu il fratello maggiore Pietro a prendersi cura di lui. Fu per gratitudine che diventato adulto Damiano abbinò il suo nome al proprio. Questi fu uno dei più grandi ispiratori dell’ondata eremitica che investì l’Europa cristiana nel IX e X secolo. Un’esperienza monastica incompatibile con la città, in cui il bosco è il luogo ideale per la vita ascetica. Di questa profonda filosofia Pierdamiani fu un grande assertore: testi storici riportano un interessantissimo scritto ch’egli inviò al monaco Teuzo, che aveva lasciato di propria scelta il monastero e pretendeva di fare vita eremitica in città. Damiano gli chiese come lui, monaco, potesse aver a che fare con la città, cosa c’entrasse con il viavai e la folla dei cittadini e se invece questo atteggiamento fosse la ricerca dell’aura popolare e della gloria del mondo anziché cercare la perfezione della vita solitaria.

Cinque secoli più tardi quella filosofia diventò “legge” quando il Giustiniani ordinava ai suoi seguaci di collocare i loro eremi “doi, o uno almeno miglio lontano da ciascuna città, lontani da tutte le habitationi degli homeni, da le vie pubbliche e da li loci cultivati”.