Case di Fango o a Maltone

31/ott/2017
Eleonora Guerra

Avete mai visto una casa di fango? Intendo in Italia … nelle Marche?

Io sì perché ce ne sono ancora nella Valle del Cesano, a due passi da casa nostra!
Le Marche possono vantare importanti testimonianze dell’antica tecnica di murare con la terra impastata alla paglia e al pari dell’Abruzzo, della Sardegna, del Piemonte, del Veneto, ma anche di quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, fino al Medio Oriente, possono entrare a pieno titolo nella grande e affascinante storia delle architetture in terra cruda. Mentre nella zona dell’anconetano e delle Marche del sud questo tipo di costruzione era molto frequente, tanto che ne sono giunti fino a noi esemplari ben conservati, e possiamo ritrovarne tracce anche nei toponimi di alcune cittadine o località, nella provincia di Pesaro e Urbino sono quasi inesistenti.

Probabilmente, perché si possa costruire con il fango, devono esistere ben precise condizioni morfologiche del terreno, e solo la zona che comprende la Valle del Cesano, e precisamente i territori compresi fra i comuni di San Lorenzo in campo, Fratte Rosa e Corinaldo, le ha. Di quest’antichissima e affascinante architettura ne troviamo riferimenti ufficiali sin dall’epoca medioevale e rinascimentale, negli statuti comunali, nelle mappe catastali, nei toponimi e nei cognomi. Nel catasto pontificio ottocentesco, per esempio, conservato presso l’archivio comunale di San Lorenzo in Campo, sono riportate le località Caselle e Casaccie. Entrambe si trovano molto vicine al fiume Cesano: la prima presso la vecchia Pieve di San Vito sul Cesano, la seconda poco distante, in direzione San Lorenzo in campo.

Località Caselle, 1960

In origine con la tecnica a maltone si erigeva ogni sorta di costruzione, da quella religiosa (chiese, conventi, muri di recinzione dei cimiteri) a quelle urbana. Dalle nostre parti, però si possono trovare, principalmente, edifici rurali (abitazioni, capanni, essiccatoi per il tabacco) e comunque non sono molto numerosi, sia perché, nel tempo sono stati “restaurati” e consolidati con altro materiale, sia perché sono in stato di completo abbandono.

Erano case ecologiche “ante litteram” certo, ma facilmente deperibili per loro stessa natura. I materiali erano a portata di mano e in gran quantità, ma richiedevano una costante manutenzione.

Dicevamo che sono rare da scovare, e potrebbe essere interessante andare “a caccia di case di fango” su e giù per la Valle del Cesano, e magari avvalersi della mappa che ne ha fatta Gianni Volpe nel suo libro “La casa a maltone”. Il “tesoro” da trovare vi ripagherà di tante fatiche, perché, dopo tanto cercare, vi apparirà così, magari all’improvviso, dietro una collinetta, in mezzo ad un campo inondato dal sole o in un borghetto abbandonato, ma anche perché lungo il percorso avrete scoperto luoghi affascinanti, dove il tempo si è fermato, dove l’uomo e la natura sono ancora in comunione, dove si respirano gli stessi odori di un tempo e dove anche addentare una mela, ha tutto un altro sapore!

Ma prima d’immergervi in questa ricerca a dir poco emozionante, c’è ancora una cosa fondamentale da sapere, e cioè come sono state costruite queste case così da poterle riconoscere.

Queste costruzioni hanno modeste dimensioni, sono piccole e carine, a volte hanno solo il pianterreno, e l’abitato è contiguo alle stalle e alla cantina, altre volte hanno due piani, con una scala esterna che li collega. In questo caso gli ambienti di lavoro sono al piano inferiore e le stanze abitate sopra. Le mie preferite sono quelle che hanno una botola, che noi chiamiamo, battuscio, che si apre sul pavimento e dove una scaletta di pioli porta di sotto.

Altro indizio: si riconoscono, anche se sono intonacate, perché hanno le finestre piccolissime, lo sperone dei muri perimetrali, la disposizione delle stanze interne è irregolare e i vani sono stretti e bassi.

Piccola finestra tipica delle case di fango - Sant'Isidoro

Per costruire le case di fango, si utilizzava l’argilla, che, a seconda dei terreni di provenienza, aveva un diverso colore e che cambiava nome da zona a zona, e cioè cerretano, certano, creta, terra bianca, luto, lubaco (particolare terra compatta, grigio-giallastra che si trova nei terreni che scendono verso Montalfoglio, Montevecchio e lungo la strada del Peglio, in direzione di Fossombrone-Reforzate). La paglia che vi s’impastava, alcuni la volevano bella lunga, altri minuta, anche qui in base alla tecnica specifica che si voleva usare. In ogni caso la paglia era unita alla terra e all’acqua e si pestava con i piedi nudi in una buca, o vi si facevano dei mattoni “crudi”. Un altro elemento di cui si faceva largo uso e che si reperiva in quantità era la “buina”, cioè lo sterco di vacca, quello che per usare un eufemismo era chiamata “vil materia”. Uniti i due o i tre elementi si otteneva il MALTONE, termine molto antico con cui s’indica sia la malta sia la tecnica costruttiva.

Con la terra cruda e con la paglia si facevano i maltoni quindi, chiamati anche massoni che altro non erano che grossi pani del peso di 7-8 chili: montandoli uno sull’altro si realizzava il muro di terra, e con altrettanta malta, se ce n’era bisogno, si legavano fra loro. Disposti a “coltello”, cioè leggermente inclinati e in senso inverso strato dopo strato, si otteneva un muro a “spina di pesce” che dava più stabilità alla costruzione. La tecnica più usata nella Valle del Cesano consisteva nel realizzare blocchi di terra impastata con paglia usando un apposito stampo di legno. A questo proposito, per saperne di più e vedere con i vostri occhi com’erano realizzati, vi suggerisco una visita al Museo delle terrecotte di Fratte Rosa, la sezione dedicata all’architettura di terra.

Particolare del muro di una casa di fango

Un altro metodo di realizzazione delle case di fango, era quello del getto di malta a strati, dentro casseforme di legno, chiamato pisè, con cui, dopo aver tracciato un solco nel terreno, ai lati s’inserivano due tavole di legno e lo spazio fra le due era riempito di malta e paglia pigiate a piedi o con uno specifico attrezzo, sempre di legno. Quando l’impasto s’induriva, si toglievano le tavole e si procedeva in altezza, ripetendo il procedimento. Questa tecnica richiedeva molta precisione e in ogni caso è pressoché sconosciuta dalle nostre parti.

Il muro di una casa di fango nel dettaglio

Completati i muri, le pareti erano messe a piombo e le eccedenze erano tolte con la tagliafieno, poi si procedeva con la scialbatura, utilizzando malta di calce o terra impastata con la buina (escrementi di vacca, dicevamo) diluiti con acqua e passata con la “granata” sulla parete esterna per meglio impermeabilizzarla. Per l’intonaco interno invece si utilizzava spesso il gesso e infine per l’imbiancatura la calce. Le pareti divisorie e i solai di copertura invece erano realizzati con canne o altre fibre naturali come la canna di fiume, i venchi, (vimini), le ginestre, i rami di carpino ecc.

Casa di fango nella regione Marche

Alla fine di questo viaggio alla scoperta delle nostre radici, non mi resta che consigliarvi una visita al Museo delle Terre Marchigiane di San Lorenzo in Campo, così da poter vedere, ricostruiti, gli ambienti della casa rurale del mezzadro, e immergervi in quella che era la vita dei nostri nonni.

Io, comunque, posso dirmi fortunata perché ho avuto la fortuna di visitare un’autentica casa a maltone in località Sant’Isidoro, strada del Perino, ma soprattutto perché alle Caselle di San Vito sul Cesano ci abitavano i miei nonni e quindi … è un po’ anche casa mia!

 

FONTI:
La casa a Maltone” di Gianni Volpe Metauro Edizioni
La casa di terra nelle Marche” Augusta Palombarini - Gianni Volpe Federico Motta Editore