Fino a qualche decennio fa il prete andava a letto con la monaca … o meglio, il prete era messo nel letto con la monaca, ed era una cosa normalissima!
Se state sorridendo sotto i baffi e già immaginate una storiella alla Boccaccio, rimarrete delusi, perché il prete e la monaca in questione erano due oggetti molto comuni nelle nostre case di un tempo e servivano per scaldarsi.
In passato, soprattutto nelle case rurali, non esisteva l’impianto di riscaldamento e l’unica fonte di calore era il grande camino della cucina. Veniva acceso tutto l’anno, fin dall’alba, dalla vergara (padrona di casa) e serviva invariabilmente sia per cucinare sia per riscaldarsi nelle lunghe e fredde serate invernali.
La cucina era il luogo prediletto di tutta la famiglia e accanto al focolare i vecchi raccontavano storie ai più piccini, mentre le donne di casa rammendavano i vestiti logori e rattoppati, filavano o lavoravano la lana e gli uomini riparavano gli attrezzi da lavoro o costruivano piccoli utensili per l’uso quotidiano.
Ci si attardava in cucina il più possibile per fare “scorta di calore” perché nelle altre stanze non c’era che freddo e umidità e ci si arrangiava come si poteva. Solo i benestanti o i ricchi borghesi disponevano di altrettanti camini nelle camere o, retaggio di usanze più antiche, letti a baldacchino o alcove.
In un mondo prevalentemente agricolo, com’era quello della Valle del Cesano, le case erano strutturate in modo da avere il piano abitato direttamente sopra le stalle, così da poter sfruttare il calore delle bestie sottostanti. Ovvio però che questo non era sufficiente pertanto si ricorreva a metodi ingegnosi e di poca spesa, come bracieri, mattoni arroventati, borse dell’acqua calda, da mettere direttamente nel letto o il prete e la monaca appunto.
In pratica funzionava così: il prete era una sorta di telaio, che era messo fra il materasso e le coperte, formato da due coppie di assicelle ricurve, unite agli estremi, poste lateralmente sopra e sotto di una “gabbia” avente una base ricoperta di latta, per evitare bruciature nelle lenzuola date da eventuali fuoriuscite di faville dal braciere che vi veniva posto, cioè la monaca. Sollevando le coperte creava una sorta di bolla di calore che riduceva l’umidità delle coltri delle fredde stanze da letto nella stagione invernale.
Il braciere (la monaca) che si utilizzava invece, riempito con le braci del camino, era un recipiente di terracotta, simile a una bassa pentola, bucherellato lungo i bordi e provvisto di un manico.
Con questi accorgimenti, quindi, se non si poteva scaldare tutta la stanza, almeno al momento di coricarsi si ritrovava il letto un po’ più caldo e accogliente, tanto più che i materassi erano duri, foderati di crine o costituiti da sacconi riempiti di bucce (le foglie secche del granoturco) e le lenzuola di ruvido cotone.
Il rischio di un’intossicazione da monossido di carbonio c’era, però era abbastanza improbabile con tutti quegli spifferi da porte e finestre.
Il prete e la monaca si toglievano prima di entrare sotto le coperte, e subito ci si stringeva l’uno all’altro, ma questo non era un problema poiché i letti di una volta erano a dir poco affollati, viste le famiglie numerose di allora!
A giorni nostri quasi più nessuno usa questo laborioso modo di scaldarsi perché tutti hanno i termosifoni in ogni stanza della casa e quelli che un tempo erano preziosi alleati contro il rigido inverno, ora stanno lì a prendere polvere in soffitta, in cantina, ormai dimenticati. Oppure vivono una seconda vita come “complementi di arredo” nei rustici casali ristrutturati, sulla scia della cosiddetta “arte povera”.
In ogni caso finora nessuno è stato in grado di dirmi perché questi due utilissimi e comunissimi oggetti, di vita quotidiana, siano stati chiamati così e, cioè rispettivamente Prete e Monaca, nonostante la tanta fede e il rispetto reverenziale che si aveva un tempo per le “cose di chiesa” … tanto più che l’allusione è fin troppo spudorata: il prete, la monaca, il letto, la brace, il calore ecc.
Forse questi nomi sono solo l’ennesima dimostrazione dell’innata ironia dei nostri nonni che - pur conducendo una vita di sacrifici, duro lavoro ed a volte miseria - trovavano il modo di divertirsi, seppur con poco, e di sdrammatizzare.
PS: Ringrazio il gentilissimo signor Rapanotti Giampiero, che mi ha aperto le porte di casa sua e mi ha permesso di fotografare la sua collezione privata di attrezzi e arredi e si è messo a mia completa disposizione per far “funzionare” questi antichi utensili.