Per i pergolesi non è Pasqua se non si va alla Processione del Cristo Morto la sera del Venerdì Santo, e c’è da crederci perché, quella che sembra una normale celebrazione devozionale della Settimana Santa, ha radici antichissime ed è parte integrante della storia di Pergola e dei suoi abitanti. Per tutti è un vero e proprio rito “pasquale” irrinunciabile e ha un posto speciale nel cuore di ognuno di noi: chi può tornare al paese per le feste fa in modo di esserci, chi è lontano la ricorda con malinconia …
Sarà per lo stato d’animo che suscita, così ricco di pathos, sarà per la tradizione da rispettare, sarà per l’apparato settecentesco degli arredi sacri, la marcia funebre e il ritmico battere dei tamburi, i confratelli vestiti di nero, le torce accese portate in processione, i lumini agli angoli delle strade … in ogni caso prendervi parte non lascia indifferenti.
Anche i non credenti, che vi s’imbattono casualmente, come semplici spettatori, ne convengono che l’impatto emotivo è molto forte.
Questo rito collettivo, dal sapore settecentesco del “memento mori” (ricordati che devi morire), è permeato da una spiritualità che spinge il devoto a meditare sulla passione di Cristo, a fare ammenda dei peccati commessi, a pregare per i defunti. E’ una sorta di “funerale”, che si snoda per le vie della città, seguendo un percorso ben preciso, che inizia e finisce nella chiesa di San Francesco; è molto simile ad altre pratiche religiose del centro-sud Italia, legate alla Settimana Santa e racchiude un misto di devozione, religione, tradizione e folklore.
I vecchi raccontano, tra l’altro, che se per qualche motivo durante la processione “tocca riparare il Cristo Morto” (in caso di pioggia) in un’altra chiesa che non sia San Francesco (chiesa di partenza), non solo “prende possesso” della chiesa e vi rimane fino alla prossima Pasqua ma … “porta male” e c’è da aspettarsi che sulla città si abbatterà qualche sventura, come la guerra o qualche altro cataclisma.
La processione del Cristo Morto è giunta fino a noi pressoché intatta, dal lontano 1700. Gli storici ci dicono che già nel 1260 un frate eremita aveva istituito questa pratica religiosa allo scopo di rievocare la vita e la morte di Gesù e che nei secoli si mantenne sempre viva e partecipata tanto che nel XVIII secolo venne fondata una compagnia apposita che si occupasse solo dell’organizzazione della processione.
Era il 1740 quando la marchesa Maria Virginia Luzi-Ercolani, erede testamentaria della nobildonna sua sorella Maria Clerice Luzi-Marini, con la somma di 600 scudi romani volle provvedere alle esigenze della processione del Venerdì Santo, con la fornitura di torce e abiti penitenziali: nasceva la Venerabile Compagnia del SS. Crocefisso detta del Cristo Morto.
Il punto di riferimento di questa confraternita è la chiesa monumentale di San Francesco, fondata insieme all’attiguo convento dei Minori Conventuali nel 1263. Più precisamente, l’altare marmoreo del transetto destro, fatto realizzare dalla già citata Maria Clarice Luzi in Marini (1728), per accogliere la tela dell’Annunciazione, dipinta un secolo prima dalla pittrice Lavinia Fontana (1552-1614). Sotto la mensa, è posta la statua lignea settecentesca del Cristo Morto, che viene portata in processione, su di un sontuoso catafalco, coronato da un baldacchino in tessuto giallo-oro su cui sono dipinti i simboli della passione. La statua del Cristo è seguita da quella della Madonna Addolorata, anch’essa in legno.
I confratelli della Compagnia del SS. Crocifisso sfilano vestiti con una cappa nera con una croce rossa sulla spalla sinistra, e si alternano nel portare il catafalco, il baldacchino, la statua della Madonna, ma anche bandiere scure con impressi a fuoco in oro i simboli della passione e il grande stendardo processionale, in bianco e nero, raffigurante “La pietà”, opera del pittore pergolese Giovan Francesco Ferri (1701-1775). Le consorelle, invece, che vestono una fascia grigia, sfilano portando torce, mentre i bambini, con tuniche grigie, recano in processione i “misteri” in legno. Gli Scout di Pergola, portano le torce e vigilano sul buon andamento del corteo.
La banda cittadina “A. Escobar” accompagna, invece, il salmodiare dei sacerdoti e il canto dei fedeli, eseguendo marce funebri tra cui quella che il maestro-operista Adelelmo Bartolucci compose, appositamente per la processione, nei primi anni del novecento.
Partecipare alla processione del Cristo Morto è un’esperienza unica, dal sapore antico, arcaico, è un tornare indietro nel tempo, ma anche un vivere intensamente il presente, dove, accanto alla frenesia del mondo moderno, ci può essere ancora spazio per la meditazione, la spiritualità e il trascendente.
Durante l’anno il ricco corredo della processione è custodito presso la chiesa di San Vitale (1700), sede della Compagnia, dove è anche possibile visitarlo, previo appuntamento.
Ringrazio la Venerabile Compagnia del SS. Crocifisso per avermi fornito i documenti di riferimento e anche alcune foto. Ringrazio anche Fabio Ceccarani per avermi prestato le sue foto.