Da Suasa a Santa Maria in Portuno...

19/giu/2017
Eleonora Guerra

A volte basta poco per fare un viaggio interessante, immersi nella natura e nella storia, in solitaria o in ottima compagnia, magari a piedi o in bicicletta, se si ha tanta voglia di scoprire nuovi percorsi e vecchie storie.

E’ quello che ho fatto io, quando, una domenica mattina di Marzo mi sono diretta agli scavi dell’antica Città Romana di Suasa, punto di partenza di un’ archeo-passeggiata a piedi.

Scavi di SuasaI resti della città sorgono lungo la valle del fiume Cesano, all’altezza di Pian Volpello, ai piedi di Castelleone di Suasa e a pochi passi da San Lorenzo in Campo, e testimoniano ancora adesso la ricchezza e lo splendore di quell’insediamento.

La fortunata parabola di questa città inizia nel II sec. A. C. per poi ridiscendere con un lento declino, già dal VI sec. D. C..
Con la caduta dell’Impero Romano e con le successive invasioni barbariche, Suasa subì lo stesso destino di tante altre città sparse per l’impero: fu progressivamente abbandonata dagli abitanti che si rifugiarono sulle alture e l’abitato ben presto divenne cava di prestito per la costruzione e la fortificazione di quelli che saranno un giorno Castelleone di Suasa, Fratte Rosa, Sant’Andrea di Suasa e di altri centri a esso vicini.

Conoscendo un po’ la storia di Suasa, quindi, ero curiosa di calcare le sue strade basolate, girare per il foro, passare dal teatro, visitare l’anfiteatro e soprattutto immaginavo di essere accolta, come ospite gradita e rispettosa, nella Domus dei Coiedii, e cioè nell’abitazione di una delle più ricche e autorevoli famiglie della zona nel II sec. D. C. e poterne ammirare i favolosi mosaici.

Suasa - Mosaico MedusaE il mio desiderio fu ampiamente ripagato.
La strada, però, ci stava chiamando e presto, io e il mio gruppo, riprendemmo il cammino, seguendo l’antica via romana che collegava Suasa a Corinaldo; il Catria e il Nerone alle spalle, come numi tutelari e benevoli e il fiume Cesano a indicarci la via.

Grazie ai racconti dei nostri amici Massimo, Elena e Laura dell’associazione culturale GESTO, che hanno organizzato l’evento, abbiamo scoperto il significato del biancospino, sacro alla Dea Maia, l’antica dea della fecondità e del risveglio di primavera; riscoperto l’usanza dei “sepolcri” in Quaresima, risentito gli echi dei canti di lavoro nei campi e quelli delle donne della filanda, intente a curare i preziosi bozzoli dei bachi per poi trasformarli in meravigliosa seta.

La natura si stava svegliando dopo il sonno dell’inverno, i campi erano un tripudio di verde e la strada era bordata dai fiorellini gialli della colza e da quelli violetti della pervinca, e noi grati e rigenerati ci godevamo il tepore del sole. La strada fluiva sotto i nostri piedi e così, passo dopo passo siamo giunti al limitare di una foresta di conifere … sì ma una foresta fossile

Nel Quaternario e nel Pleistocene, infatti, lungo la valle del Cesano, si era sviluppata una rigogliosa foresta di conifere, per giunta popolata da alci, bisonti della steppa e cervidi. Purtroppo però, in piena era glaciale fu sepolta dai sedimenti erosi dal Catria e portati a valle dal fiume Cesano. Con l’innalzamento delle temperature, il fiume tornò a scavare il fondo valle, riconquistando il suo antico alveo ed erodendo nuovamente il terreno. In questo modo, piano piano, riportò alla luce i resti fossilizzati di questa meravigliosa foresta, ormai pietrificata, e dei suoi abitanti, e visibile ora in loco o nei musei a essa dedicati.

Ma ecco che eravamo già arrivati alla fine del nostro viaggio, sette chilometri erano davvero volati!!! Santa Maria in Portuno era lì davanti ai nostri occhi, accoccolata sotto il sole di primavera e sembrava aspettarci.

Campanile Santa Maria in Portuno
La nostra avventura terminava così con la visita agli scavi presso la chiesa.

Santa Maria in Portuno, che prende il nome dall’antica divinità Portumnus, preposta, tra l’altro, ai guadi, agli attraversamenti fluviali, fu eretta sopra i resti di un’antica fornace romana appartenente a quella che doveva essere una ricca fattoria. E’ ciò che rimane di un complesso monastico benedettino attestato già dal 1090.

Una chiesa, insomma, che racconta tante storie, stratificate una sopra l’altra, in cui si entra in religioso silenzio per apprezzare “La Madonna ai piedi della croce” di Claudio Ridolfi (prima metà del XVII secolo) e gli affreschi a tema mariano di datazione ‘400-’500. Nel ricco antiquarium invece è possibile ammirare i reperti della campagna di scavi che ci danno un’idea di come l’insediamento romano fosse ricco e fiorente. Merita, infine, una sosta, la mostra delle tavolette votive e degli ex voto, espressione di una religiosità e di una fede genuina e popolare, che raffigurano le vicende quotidiane, di un’umanità anch’essa persa nelle pieghe del tempo.

Scavi di Santa Maria in Portuno
Che dire allora? Una strada, tante storie … e se il miliario custodito in fondo alla chiesa, e risalente al 300 d.C. circa è originale del luogo, come si crede, be’ eravamo a “soli” 184 miglia da Roma!! Quindi … ripartiamo???

Grazie all’associazione culturale GESTO - Generazione Storia Orizzonti - che ha curato l’archeo-passeggiata, al Consorzio Città Romana di Suasa che ha appositamente aperto gli scavi per noi e all’A.C.L.I. di Madonna del Piano per il pranzo!

Fonti: Santa Maria in Portuno nella valle del Cesano Percorsi di archeologia 4