Nel cuore di San Lorenzo in Campo è custodito un tesoro antico, come la stessa città, e cioè l’Abbazia benedettina di San Lorenzo.
Addentrandoci nel centro storico di questa ridente cittadina, adagiata nella Valle del Cesano, superata la fontana monumentale posta al crocicchio, ecco spuntare l’Abbazia.
...perfettamente inserita nell’armonia dell’abitato, è il frutto di innumerevoli interventi subiti nel corso dei secoli...
Così come ci appare, maestosa e defilata al tempo stesso, ma perfettamente inserita nell’armonia dell’abitato, è il frutto di innumerevoli interventi subiti nel corso dei secoli, che hanno modificato l’impianto romanico originale, tuttavia ancora ben visibile.
Proclamata Basilica nel 1943 da Papa Pio XII, l'Abbazia è considerata uno dei monumenti in stile romanico-gotico tra i più belli di tutte le Marche.
Fu fondata prima dell’anno Mille dai monaci benedettini provenienti da Sant’Apollinare in Classe di Ravenna, all’interno della Provincia detta della Ravignana, che comprendeva tra l’altro, Fratte Rosa, Torre San Marco, San Vito sul Cesano, Monterolo e Montevecchio di Pergola, nello stesso periodo in cui sorsero la Pieve Vecchia di San Vito sul Cesano e Santa Maria in Gotuli, in località Valrea di Pergola.
L’Abbazia fu, molto probabilmente, costruita sulle rovine del tempio pagano di Adone, impiegando materiale di reimpiego proveniente dalla vicina città romana di Suasa, ormai in completo abbandono dopo la distruzione operata dai barbari di Alarico, re dei Goti, nel 410 d.c..
Quando i benedettini giunsero in questa zona, esisteva già una comunità cristiana dedita al culto di San Lorenzo martire in Roma, portato qui dai romani. Pertanto si scelse di dedicare l’Abbazia proprio a questo Santo, incoraggiandone il culto, con l’appellativo di “in silvis” (dei boschi), per la presenza di boschi sacri.
Con il passare del tempo, forse a motivo dello stile di vita imposto dalla Regola di San Benedetto, che prescriveva “ora et labora” (cioè prega e lavora), i monaci trasformarono quel territorio boschivo, bonificandolo, in terreno agricolo, e l’Abbazia cambiò nome da “in silvis” a “in campo”.
...divenne in breve tempo un punto di riferimento per le comunità agricole sparse nelle vicinanze, che si aggregarono dando vita ad un abitato stabile.
Il complesso monastico, che era sorto in posizione elevata lungo l’antico tracciato romano che percorreva l’intera vallata, parallelamente al fiume Cesano, divenne in breve tempo un punto di riferimento per le comunità agricole sparse nelle vicinanze, che si aggregarono dando vita ad un abitato stabile.
Dicevamo che nel corso dei secoli (più di un millennio ad essere precisi) l’Abbazia ha subito diversi rimaneggiamenti e quella che ci si presenta è una maestosa Basilica in mattoni, articolata in tre navate, terminanti ciascuna con un’abside.
La navata centrale, è fiancheggiata da cinque archi a tutto sesto, poggianti su colonne, quattro delle quali in granito grigio, provenienti dall’antica città di Suasa, ma originari dell’Egitto.
Seguendo con lo sguardo il fusto delle alte colonne, si rimane affascinati dalla varietà di capitelli che ne sovrastano la sommità. Accanto a motivi floreali, melusine, grifoni, basilischi, sembrano guardare lontano, noncuranti del tempo, immortalati nella pietra viva, come muti guardiani.
Ma se si alza ancora di più lo sguardo, s’incontra il suggestivo soffitto a capriate a vista, intervallate da arcate a tutto sesto.
...l’atmosfera serena che vi si respira, predispone alla preghiera e alla meditazione
Ci si sente piccoli di fronte a tanta grandezza, ma non intimoriti, perché l’atmosfera serena che vi si respira, predispone alla preghiera e alla meditazione: le luci sapientemente posizionate, valorizzano la bellezza architettonica della chiesa, senza nulla togliere al fascino di questo millenario luogo di culto.
La navata centrale, termina con un presbiterio rialzato, tipico dell’arte romanica, su cui trova posto l’Altare Maggiore, impreziosito da rari e pregevoli marmi.
Sotto il presbiterio, si sviluppa una bellissima cripta, composta di sette piccole navate con volta a crociera, riportata alla luce nel 1940, insieme alle absidi laterali, che rappresenta la parte più antica dell’edificio e sicuramente la più suggestiva.
Al suo interno conserva una parte delle reliquie di San Demetrio, militare romano martirizzato a Tessalonica, la moderna Salonicco, nei primi anni del IV sec. d.c., inaspettatamente rinvenute durante i lavori di restauro del 1520, voluti dall’abate Marco Vigerio II.
In seguito a questo favoloso ritrovamento, si commissionò al pittore locale Pietro Paolo Agabiti (1470-1540) la realizzazione della tela “Madonna in trono con Bambino, San Lorenzo e San Demetrio” del 1530, tuttora esposta nell’antiquarium della chiesa.
Nel 1980, in conseguenza dell’avvio del dialogo ecumenico con i cristiani greco-ortodossi, la comunità di San Lorenzo in Campo, restituì gran parte del corpo del santo agli abitanti di Salonicco, da loro venerato come Megalomartire (cioè grande martire).
La basilica è ricca di pregevoli tele, come quella dell’arceviese Ercole Ramazzani (1537-1598), che raffigura la Vergine con i quindici misteri del rosario, collocata nella cappella di sinistra in stile rinascimentale.
Nell’altare maggiore, invece, è posta, la pala del pesarese Terenzio Terenzi, noto come Rondolino (1575/1580-1621), in cui è rappresentata la Madonna con Bambino alla presenza dei santi Benedetto e Lorenzo. Il Rondolino, molto attivo a Roma e nelle Marche, è famoso per il suo stile che risente delle influenze di Raffaello, Tiziano, e della pittura veneta. Un’altra opera attribuitagli, e situata nel coro della chiesa, è San Francesco e San Demetrio, che troneggiano in abiti militari.
In fondo alla chiesa, accanto alla porta principale, si può ammirare una campana del 1284 con l’Ave Maria incisa in caratteri gotici.
Da non perdere la visita all’attiguo antiquarium, che custodisce altri interessanti tesori.
All’esterno è degno di nota il portale laterale, risalente al 1471 che fu commissionato dal cardinale Pietro Riario (1447-1474), abate commendatario, mentre la poderosa facciata, ricostruita nel ‘700, fu voluta dal penultimo abate commendatario Alessandro Albani (1692-1779) in seguito ad un terremoto.
A questo punto non mi resta che invitarvi a visitare questa bellissima Abbazia millenaria, perché l’emozione che si prova quando si entra e ci si perde tra le navate, magari con il naso all’insù, o semplicemente quando ci si siede in disparte per una muta preghiera, vale più di tantissime belle parole.
Ringrazio i volontari che si occupano della Basilica, per l’interessantissima visita guidata e Ritaldo Abbondanzieri per le notizie sulla Ravignana.
Fonti: